Psicologia: CLOWN FONTE DI PAURA O DI TERAPIA?

clown
La rubrica della dott.ssa Milena Giacobbe, psicologa dell’età evolutiva
Tempo di maschere e sfilate carnevalesche. Forse la maschera più popolare è quella del pagliaccio, che riesce sempre a strappare un sorriso e una risata a grandi e bambini.
O forse no.
Esistono infatti bambini, ma anche adulti, che soffrono di una paura chiamata coulrofobia , che è proprio la paura dei clown e, in particolare, del loro trucco eccessivo, delle parrucche colorate e vaporose e del loro naso rosso, simbolo stesso dei pagliacci. L’origine di questa paura può essere traumatica, cioè legata ad un evento sconvolgente collegato in maniera più o meno diretta al travestimento dei clown. Ciò che infatti disturba maggiormente chi soffre di questo disturbo è l’idea del travestimento e della impossibilità di decifrare in maniera chiara chi si cela dietro al trucco e, di conseguenza, di non poterne riconoscere le reali intenzioni, avvertendo così una sensazione di pericolo più o meno intensa. Il disturbo può avere gradi diversi che portano al semplice evitamento di situazioni in cui si potrebbe incontrare un pagliaccio, a vere e propri attacchi di panico alla sua vista. In generale la presenza di un clown è altamente stressante. A seconda dell’età e dell’importanza del disturbo, è possibile intervenire al fine di risolvere il problema. Per quanto riguarda gli adulti, professionisti specializzati in attacchi di panico possono intervenire con successo, nel caso di bambini, li si può accompagnare alla rielaborazione del trauma “colpevole” della situazione e, soprattutto, alla ricerca di una sicurezza personale che gli permetta di considerare il travestimento da prospettive diverse da quella che li ha condotti a considerare ciò che “non si ri-conosce” come pericoloso tout court.È proprio questa altra prospettiva che ha fatto divenire i clown, in certi contesti, veri e propri terapeuti. La clown terapia, è infatti utilizzata in contesti di disagio al fine di migliorare l’umore delle persone: per esempio i “clown dottori” portano oltre alla loro professionalità, anche la propria arte clownesca al fine di aiutare i piccoli pazienti a rielaborare la loro situazione. Spesso è difficile comunicare quando il dolore e la preoccupazione dilagano: questi pagliacci “speciali” vogliono allora trovare un modello comunicativo comune che superi qualsiasi differenza e diffidenza e che lasci spazio ad una vicinanza umana in cui non dovrebbero esistere confini, barriere o diversità.
I clown sovvertono le regole abituali, riescono a rendere simpatico un difetto, strappano una risata amplificando i difetti e l’incapacità di compiere qualcosa. Ma è proprio il rendersi conto che tutti hanno dei limiti (… e spesso alcuni vorrebbero mettersi una maschera per nasconderli) che aiuta a sperimentare nuovi comportamenti ed atteggiamenti atti a superarli e a ridimensionarli, dandogli il giusto “peso”. Le persone che tendono a vedere in maniera negativa e senza speranza le situazioni stressanti in cui si trovano tendono ad avere una bassa autostima ed essere meno pronti ad affrontare situazioni di stress: riuscire a cambiare questa visione, significa essere capaci di trovare un maggior numero di soluzioni ai problemi che si presentano e riuscire ad affrontare lo stress in maniera più positiva. Non si tratta quindi di negare o ridimensionare i problemi o creare un momento di svago, ma significa dare la speranza di poter fare qualcosa in modo autonomo ed efficace, in una maniera alternativa. Inoltre ricerche scientifiche hanno provato che ridere ed “essere di buon umore” ha un potere rilassante, che aiuta a gestire lo stress e che infine aumenta la secrezione di ormoni e di endorfine implicati nel meccanismo fisiologico della regolamentazione del piacere.
Un altro aspetto che ha reso tanto popolare la figura del clown in ospedale è data dalla sua duplice natura: da una parte la spensieratezza, l’umorismo e la goffaggine, dall’altra la tristezza e la malinconia. L’obiettivo del clown allora non è solo quello di far ridere ma anche, probabilmente, quello di piangere con chi piange, di essere piccolo e solo con chi è piccolo e solo, di essere veramente vicino alla sofferenza, ma, al contempo, di volerla sconfiggere a tutti i costi.

Dott.ssa Milena Giacobbe
Psicologa dell’età evolutiva
Viale Buonarroti, 13 Novara

Cel. 348.3173462

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