“Sognavo un paese speciale”: la favola di un sogno verso la libertà e la speranza

Anche se le parole, da sole, non servono…
Un dolore e un massacro che è una sconfitta per tutti noi
di Isa Voi

Sognavo un paese speciale

– Guarda laggiù  Yunus! Vedi quell’immenso color azzurro? Quello si chiama mare! –

Il piccolo sgranava gli occhi ogni volta che quel vecchio nonno, con la barba bianca sul quel viso scuro e la voce roca, lo portava sul suo cammello stanco a vedere quell’infinita distesa di acqua che sembrava non finire mai e si perdeva all’orizzonte.

  • Un giorno prenderemo una barca e remeremo così forte che arriveremo al di là del mare, e lì troveremo la felicità. – Prometteva rivolgendosi al nipote.

– Cosa c’è in quel posto di così diverso dalla nostra città, nonno?

– Non so di preciso cosa ci sia, non ci sono mai stato e chi è partito per andare lì non è mai tornato indietro per raccontare. Tutti, però, vogliono andare là. –

Quella notte Yunus non riuscì a prendere sonno e mentre guardava le stelle, sbirciando da quella piccola finestra della sua casa di pietra, volò con la fantasia immaginando città fantastiche, tesori, vestiti sfarzosi, animali strani e affascinanti e giochi meravigliosi.

Ma quale felicità si poteva trovare lì?

Yunus aveva solo una casa di pietra con due stanze, dove vivevano lui, mamma, papà e la sorellina di un anno, Genan. Ma per lui quel posto era davvero bello, perché ci era cresciuto: c’erano un bel sole che ogni mattina lo svegliava allegramente, la luna che gli teneva compagnia durante i sogni della notte e tanta terra sulla quale poteva correre e giocare senza scarpe.

Nella strada sterrata davanti casa, i suoi amici rincorrevano sassolini banchi e scuri, sfidandosi a chi li lanciava più lontano o a chi colpiva gli ambiti bersagli.

Yunus era il più piccolo di quei ragazzini: era  esile, con tanti capelli scuri e occhi profondi che parlavano più di tutte le parole che conosceva. Aveva un piccolo problema: balbettava. Questo era un motivo per prendersi gioco di lui, ma Yunus non si arrabbiava, perchè prima o poi sarebbe cresciuto, sarebbe diventato un uomo e avrebbe imparato a esprimersi correttamente.

In quella terra ricca di odori forti e di rumori lenti e antichi, aspettava ogni sera il padre Marouane ritornare dai campi, arsi da quel sole perpetuo che solo durante la notte prendeva tregua.

Papà, sei stanco? – gli chiedeva amorevolmente tutte le volte, mentre si sedeva a tavola a consumare quello che mamma Omaima aveva preparato con amore e devozione.

– Sì Yunus, ma la fatica fa parte dell’uomo. Io devo pensare a voi: sono vostro padre.

  • Papà, perché domani non partiamo? Andiamo in quel paese segreto di cui parla sempre il nonno; lì non dovrai lavorare e diventerai ricco!

– Piccolo, a volte quello che desideriamo è molto più vicino di quello che pensiamo. Al di là del mare c’è un mondo che non conosciamo e non esiste vento favorevole per un marinaio che non sa dove andare. –

Il papà di Yunus non ne voleva proprio sapere di partire: era legato alle sue tradizioni, alla sua gente, ai suoi luoghi e il nuovo lo spaventava, lo rendeva insicuro: con una moglie e due figli piccoli, poi, non avrebbe potuto permettersi di correre inutili rischi, nè sbagliare,

Ma un giorno finalmente decise: sarebbe andato oltre quel mare blu, dove si trovava quel posto speciale, dove appena arrivi ti accolgono a braccia aperte, tanto che nessuno torna più indietro.

Il giorno della partenza il vecchio nonno rimase per tutto il viaggio in silenzio, abbracciato a Yunus. Entrambi avevano tanto atteso quel momento, che ora che era arrivato avevano quasi paura..

– Il mare! Eccolo! –grido stupito Yunus

– Quando tira lo scirocco, dicono i marinai, meglio non andar per mare. Meglio chiudersi in casa, che fuori girano col vento solo i pazzi e la sfortuna. – Rispose un vecchio uomo.

Il piccolo non capì il senso di quelle parole, ma era troppo occupato a guardare quel miracolo blu della natura per darvi peso.

Nonostante ciò, le barche della speranza furono preparate: pian piano le persone furono fatte salire in cambio del pagamento di un biglietto molto caro, che per molti rappresentava il risultato di anni di lavoro e di risparmi.

– Papà, ma perché c’è solo una barca? Non basterà per tutte queste persone.

– Non so Yunus, sicuramente non appena sarà piena ne arriverà un’altra. –

La barca si riempì, era stracolma. Bastava anche solo l’intuito di un bambino come Yunus per capire che su quell’imbarcazione c’era troppa gente.

Ma nessuno era disposto a rinunciare al suo sogno, ora che era così vicino per raggiungerlo: valeva la pena correre il rischio.

Tutti salirono, stretti stretti, come pezzi di puzzle da riordinare.

Non c’era spazio per muoversi, per passeggiare, per giocare e nessuno aveva avvisato prima che per scoprire quella città lontana era necessario fare un viaggio così scomodo e sofferente.

Si vedevano solo mani: le mani di una donna che tremavano, le mani degli uomini che tenevano in alto i coloro cappelli, quelle dei bambini che salutavano euforici.

La nave partì, dirigendosi lontano, sempre più lontano, fino a perdersi all’orizzonte. Ora c’era solo acqua intorno, solo mare mosso.

– Anche questa volta ce la faremo. Non possiamo perdere tutti questi denari. – Gridò un individuo, dall’aspetto poco affidabile e due occhi da lince che scrutavano tutte quelle

persone imbarcate, simili a uno sciame d’api.

Lui e il suo compare indossavano due salvagenti da spalla.

  • Perché lo indossano solo loro? – Si domandò ingenuamente Yunus. – Forse non sanno nuotare…

Calò il buio e la paura crebbe. Intorno c’era solo silenzio.

Il tempo sembrava non passare mai. Nessuno si muoveva per paura di rompere gli equilibri di quel barcone e persino i più piccoli, come Genan, non piangevano quasi capissero la delicatezza e il pericolo di quel momento.

– Non preoccupatevi, arriveremo…piano piano arriveremo… – Marouane cercò di rassicurare il vecchio uomo e la moglie Omaima,che non lasciava trasparire nessuna emozione sotto quel velo color lilla e bianco. Si fidava dei suoi uomini.

Yunus cominciò a guardare la luna, che era sempre la stessa che osservava dalla finestra della sua stanza e che sembrava non volerlo abbandonare.

All’improvviso un rumore. Un boato.

Il silenzio e la paura paralizzò tutti: l’imbarcazione cozzò contro una roccia. L’ordine si rinfranse, le voci e le urla cominciarono a moltiplicarsi e addossarsi le une sulle altre, i movimenti divennero incontrollabili. Non c’era più nessuna certezza.

Yunus cadde in mare, insieme a tutti gli altri. Chiamò  suo papà, suo nonno, la madre e la sorella, ma era come cercare un ago in un pagliaio. Si aggrappò a un pezzo di legno che galleggiava, allontanandosi sempre di più, sempre di più: tremava ed era immobilizzato dalla paura.

In quel mare pezzi di vita, pezzi di legni che nascondevano delle storie, dei sogni, delle speranze, del coraggio: padri, madri, figli.

Ora era solo, senza la sua famiglia e avrebbe voluto tanto trovarsi nella sua casa, con i suoi amici, i sassolini tirati al bersaglio. Ma non poteva.

Una sirena assordante suonò: era quella dei soccorritori che con le loro luci illuminarono tutta la zona e  lasciarono intravedere una terra lontana.

  • Eccola! – gridò Yunus.  Una striscia marrone e verde lontana: era per lei che tutti avevano sperato, avevano lottato.

Yunus fu portato a riva; la mamma, il papà e Genan furono portati in salvo poco dopo. Ma il nonno no, non c’era più.

Il bambino aspettò fino a quando l’ultima barca non fece ritorno, ma il nonno era rimasto in quel mare che lo aveva fatto sognare per molto tempo. Per chi era riuscito ad arrivare a riva

 non ci furono vestiti preziosi, ma solo asciugamani e teli di alluminio per riscaldarli; non c’erano grandi case per loro, ma solo lunghi e vuoti capannoni anonimi; non c’era cibo buono, ma solo acqua e panini uguali per tutti.

Yunus voleva la sua terra nuda sulla quale poter correre scalzo e voleva indietro suo nonno.

Quel vecchio uomo non c’era più, ma si era trasformato in quel mare bello e misterioso destinato a rimanere un segreto per tutti.

E tutto le volte che il piccolo voleva sentire vicino a sé il nonno, si sedeva in rima al mare, respirava profondamente e ammirava per ore quell’immenso manto blu, fino a sentirlo dentro la sua anima.

di Isa Voi

Lampedusa in questi giorni è diventato un teatro di dolore e di sconfitta. Quello che è successo agli immigrati che hanno cercato di raggiungere il nostro paese non è solo una tragedia o un incidente, ma anche e soprattutto un MASSACRO. Un massacro perché il risultato di questo evento è la morte, è il sangue, e la mancanza di pietà. Ma la cosa peggiore è che dietro a tutto ciò c’è l’ombra di una volontà, della mano imprudente e speculatrice dell’uomo.
Tutti questi morti sono una sconfitta per tutti noi, per ogni singolo cittadino, per il nostro futuro.
Purtroppo le parole non servono a niente, soprattutto quando tutto è già accaduto.
Sognare, però, ci può far ancora sperare che queste mattanze e queste “guerre” umane non si verifichino più: è solo un sogno, ma i sogni a volte si avverano, basta crederci e ricorrere alla volontà di tutti.
Voglio dedicare questa mia favola, vincitrice del concorso letterario “La gru” (“Una favola per commuoversi, una favola per sorridere), a tutte le persone che credono di trovare la libertà in un’altra terra, lontano da casa, soffrendo, lottando, con l’augurio che NESSUNO DEBBA MORIRE PIU’ PER POTER VIVERE.

La favola  si può trovare anche su:

http://www.edizionilagru.com/fiaba_per_sorridere_fiaba_per_commuoversi.html

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