“LA SALITA”, continua il racconto di Avantage Jr Samuele Goury

La Salita

5 capitolo

Camminare per chilometri, centinaia di chilometri, cambia la concezione della distanza. Non ragioni più per lunghezza, o meglio, il sistema metrico non basta, nel cammino gli obbiettivi distano giorni. Anche qui l’impressione che si ha è che si torni indietro nel tempo e questo riflesso del passato all’interno della mente presenta una percezione dei problemi più significativa. Nel mondo in cui viviamo abbiamo traviato il concetto di tempo, un tempo in cui “il tempo è denaro”. Penso che non ci sia bestemmia più grande che quella di porre sullo stesso piano una dimensione e uno strumento artificiale. Abbiamo frainteso ciò che è utile con ciò che è necessario, di conseguenza anche ciò che vogliamo con ciò di cui abbiamo bisogno. Il potere temporale supera d’importanza il potere spirituale, viviamo in un mondo in cui le difficoltà debbono essere superate in un secondo oppure viene ufficializzato il fallimento. Viaggiamo alla velocità della luce, ci viene proibito di fermarci un attimo e ci viene impedito di farci la domanda più bella di tutte: “Perché”, Perché? Perché la maggior parte delle volte questa domanda non prevede una risposta, è una perdita di tempo che non porta a nulla, non è funzionale né costruttiva. Il perché, per me, è la domanda più importante di tutte, è la domanda dei bambini che senza vergogna chiedono di capire a differenza dell’adulto che presume di sapere. È una domanda che offre la chiave per aprire l’universo filosofico che giace in ognuno di noi, è una domanda magica, ribelle e indomabile, ultimo baluardo di una natura che rifiuta di arrendersi all’uomo e alla sua scienza. La scienza…non ho nulla contro di lei, anzi materia fondamentale per strumentalizzare ciò che ci circonda, ma ho tutto da dire a chi la utilizza per screditare la filosofia o la fede, sinonimi di una stessa credenza che supera le barriere del spiegabile, o meglio, laddove la scienza è costretta all’interno della comprensione di “come funziona”, la filosofia è necessaria per la rivelazione del “perché”. Ecco la breccia che apre il portale dell’infinito della nostra immaginazione, ed ecco perché i bambini sono sempre più felici degli adulti, perché vivono di “perché”, di filosofia e di immaginazione.

Poi, quando finalmente diventiamo adulti, sotto i grandi colpi del: “ma quando cresci?” scopriamo che per raggiungere quel tanto sperato status quo non bisogna fare altro che smettere di farsi domande e vivere d’inerzia, essere grandi in questa società non significa nient’altro che atrofizzare la nostra filosofia di vita e diventare un fattore produttivo, una macchina. Mi sono sempre chiesto: “Ma perché devo diventare grande?” Mi è stato detto che c’è un tempo per tutto, per giocare, per agire e infine per pensare. Ancora una volta il tempo reso schiavo e strumento di giustificazioni vaneggianti, estrapolato dalla sua natura e confinato all’interno di quelli che sono i limiti della comprensione umana. Per fortuna il Cammino non ha leggi. Sorrido tutte le volte che mi chiedono i dettagli dell’organizzazione di questa esperienza, non ce n’è stato uno, non ci siamo mai soffermati a pianificare nulla di questo percorso, ci siamo lasciati guidare dal destino liberando il Tempo e restituendogli la propria dignità. Quando succede la vita ti pervade di imprevisti e un caleidoscopio di eventi ti travolge.

Nel Cammino il tempo per pensare e per agire si fondono insieme e sei libero di volare mentre cammini e di correre senza una meta. Sei libero non di prendere il tempo, ma lasciare che il Tempo ti prenda e ti racconti i piani che ha in serbo per te.

Era come se ci fosse un legame tra quello che mi stava succedendo nella testa e l’avventura che stavo vivendo. Prima la piatta pianura, una distesa apparentemente infinita e, vi dirò, anche un po’ noiosa in cui sembra che un passo annulli l’altro come su un tapis roulant, poi all’improvviso iniziano i falsipiani che confondono prima l’occhio poi le gambe e infine anche la mente, un moto ondulatorio che si sposa con l’altalena di emozioni cui sei soggetto. Proprio quando stai biasimando questo percorso tortuoso intrapreso ecco arrivare la parte più difficile, la salita, quella ripida, che posa in segno di sfida e ti porta alla mente un pensiero nostalgico verso quella pianura più facile e sicura. Succede anche nella vita di tutti i giorni, stai attraversando una fase complicata e capita che ti piomba addosso un imprevisto che rende il tutto impraticabile, a volte pare quasi non ci sia limite al peggio.

Marta: «ci siamo, O’Cebreiro ragazzi»

Silvia: «dicono che dopo i Pirenei è il pezzo più difficile»

Salvatore: «io non so se ce la posso fare, ho la schiena e le gambe a pezzi»

Stefano: «sei una merda! Ti ricordo il massaggio che ti sei fatto fare al chilometro zero!»

Pietro: «ragazzi venite a vedere…ci sono due possibilità, la salita asfaltata più facile e il percorso vecchio e sterrato che è più difficile, cosa facciamo, quale scegliamo?»

Samuele: «non sono venuto fin qui per camminare sull’asfalto ragazzi, forza, più ci pensiamo peggio è!»

A questo punto vi starete domandando chi fosse Piero e perché avesse questi due nomi. Lui era il ragazzo che trovammo dormiente a Ponferrada, vi ricordate? Piero?! Ma non si chiamava Pietro? Questa confusione è volontariamente provocata da un aneddoto che riguarda la sua vita che fin dalla nascita ha voluto scegliere di chiamarsi in entrambi i modi e allora io da questo momento lo chiamerò come fu stabilito proprio all’inizio della nostra avventura: Piero-Pietro.

Se avessi saputo prima quanto sarebbe stato difficile salire su quella montagna, molto probabilmente non avrei spinto per il percorso più difficile, o perlomeno non sarei stato così spavaldo. Soprattutto se avessi saputo che di li a poco mi sarei dato alle prese di uno degli scontri dialettici più difficili e complicati della mia vita, avrei sicuramente scelto lo sforzo fisico meno grave per giovare quello mentale.

Perché le salite sono difficili, per davvero, se volete potete biasimare la gravità, fate pure, per me il perché si cela in un prezzo da pagare per nostra magnificenza Vita, un esistenza veramente Reale, Unica e Piena. Ho sempre percepito un’ambivalenza complementare tra poli opposti, un dualismo che caratterizza la maggior parte delle filosofie orientali e occidentali. La classica lotta tra bene e male, la felicità che è un verbo vuoto se privo di tristezza, piacere e dolore che vivono sulle spalle uno dell’altro, insomma quasi sempre è possibile trovare due poli che si affrontano e si sostengono allo stesso momento sui lati opposti di una stessa trincea. L’ambivalenza degli opposti e l’allusione bellica mi porta un ricordo degli studi storici e che risalta cui sopra:

“il caporale Leon Harris del 13esimo battaglione del London Regiment in una lettera scritta ai genitori che stavano a Exeter […]: «È stato il Natale più meraviglioso che io abbia mai passato. Eravamo in trincea la vigilia di Natale e verso le otto e mezzo di sera il fuoco era quasi cessato. Poi i tedeschi hanno cominciato a urlarci gli auguri di Buon Natale e a mettere sui parapetti delle trincee un sacco di alberi di Natale con centinaia di candele. Alcuni dei nostri si sono incontrati con loro a metà strada e gli ufficiali hanno concordato una tregua fino alla mezzanotte di Natale. Invece poi la tregua è andata avanti fino alla mezzanotte del 26, siamo tutti usciti dai ricoveri, ci siamo incontrati con i tedeschi nella terra di nessuno e ci siamo scambiati souvenir, bottoni, tabacco e sigarette. Parecchi di loro parlavano inglese. Grandi falò sono rimasti accesi tutta la notte e abbiamo cantato le carole. È stato un momento meraviglioso e il tempo era splendido, sia la vigilia che il giorno di Natale, freddo e con le notti brillanti per la luna e le stelle». Il riferimento al tempo non è di poco conto: «La vigilia […]segnò la fine di settimane di pioggia battente, e una gelata rigida e tagliente avvolse il paesaggio. Gli uomini al loro risveglio si trovarono immersi in un Bianco Natale»”[1]

E allora non esiste la gratificazione se non è preceduta da fatica, anzi, la soddisfazione è addirittura direttamente proporzionale allo sforzo. Il perché non lo so, è uno dei paradossi di una vita magica che cerca di confonderci con i suoi giochi di prestigio, so solo che il perché è il valore assoluto di tutte le domande che sfumano all’interno dell’arcobaleno di  interrogazioni e che impariamo a definire da soli. Un polo che fa fronte all’antitesi di ogni domanda: la passività, l’inerzia al servizio del compiacimento dell’interesse altrui e dipendente dalle risposte dei più, che ci strugge stritolandoci all’interno delle aspettative sociali.

Ecco servita la diagnosi del malessere che mi affliggeva, questa contraddizione tra chi sono veramente e chi pretendevano di essere, quel bambino dentro me spaesato e confuso che in un pianto di rabbia lamentò il disappunto e che ora, fiero, pronto a porsi qualsiasi domanda, pronto a spingersi verso qualsiasi salita. Buen camino…


[1] Rastelli P., Il miracolo del 25 dicembre 1914
Cento anni fa la tregua di Natale
in Il silenzio delle armi, Corriere.it, 2014, https://www.corriere.it/cultura/speciali/2014/prima-guerra-mondiale/notizie/miracolo-25-dicembre-1914-cento-anni-fa-tregua-natale-f4a5d08a-8b6b-11e4-9698-e98982c0cb34.shtml?refresh_ce-cp

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