Intervista a Roberto Re: Dopo la trilogia “Il Killer delle fiabe”, un nuovo successo con il romanzo “Gli anni mancanti”

Cari amici,

oggi voglio presentarvi l’intervista a un giovane e talentuoso scrittore molto apprezzato dai lettori per i suoi romanzi fantasy e trhiller.

Il suo ultimo libro “Gli anni mancanti”, pubblicato da Gpm Edizioni, segna una svolta nel suo percorso letterario e sta riscuotendo numerosi consensi da parte della critica giornalistica.

Questa storia, infatti, è diversa da quelle a cui sono abituati i suoi fans: è ambientata negli anni ’90 e racconta la vicissitudini di alcuni ragazzi alle prese con scelte importanti, rimpianti, indecisioni e “situazioni” da prendere al volo per recuperare i “treni” persi. Un susseguirsi di emozioni, di nostalgia e riflessioni, spesso amare. Pagine che sicuramente lasceranno il segno nel lettore.

L’autore aveva esordito con due romanzi fantasy ai quali è seguita, poi, la trilogia thriller che 8 anni fa lo aveva fatto conoscere a un vasto pubblico: “Il killer delle fiabe” (Gds Editore).

Originario di Lanzo Torinese, Roberto Re nelle sue opere segue uno stile scorrevole, nuovo, travolgente e capace di regalare colpi scena e curiosità.

“Gli anni mancanti” è il titolo del tuo nuovo romanzo; come è nata l’idea di questo romanzo e a chi è rivolto?
È un romanzo nato e sviluppato durante il periodo del lockdown, grazie ad una serie di casualità che si sono incrociate tra di loro. Un paio di vecchie foto di gruppo degli anni ’90 capitate tra le mani, la musica in random che passava Bryan Adams…e l’idea di una storia diversa dalla trilogia thriller che avevo pubblicato precedentemente ha bussato nella mia mente per essere raccontata.
Potrei dire che è rivolta a tutti coloro che hanno vissuto quel periodo nel pieno della gioventù, quando le giornate non erano invase dalla tecnologia ma dai rapporti umani, quando si usciva anziché chattare o messaggiare, quando i pomeriggi si passavano al campetto di calcio polveroso e ci ritrovava a casa di qualcuno con il semplice scopo di stare insieme. A chi ricorda quegli anni con una punta di nostalgia perché erano gli anni dei sogni, delle aspettative, quelli in cui stavamo iniziando a pensare al nostro futuro ma eravamo ancora abbastanza spensierati da goderci il presente.

Come ha avuto inizio la tua passione letteraria per il genere fantasy?
Il fantasy è stato, insieme ai romanzi di avventura di Verne e Salgari, la mia prima lettura. Ho passato non so quante ore immerso nelle storie di Brooks, Eddings nonché tutti i volumi che all’epoca uscivano con la mitica e insuperabile Fantacollana della Nord. L’evoluzione dalla lettura alla scrittura è stata un passo naturale, una scommessa con me stesso per vedere se potevo essere in grado di inventare delle storie invece di leggere solamente quelle altrui.

C’è un tuo romanzo al quel sei particolarmente legato?
“Gli anni mancanti” è sicuramente un romanzo che mi ha dato molto ma ha richiesto anche molto in termini personali, nel senso che ho voluto tirare fuori una parte di me (un lato più affettivo, più intimo e intimista) che nella vita reale faccio fatica da sempre a gestire e anche a mostrare. Ma la trilogia thriller è quella che riprendo in mano più spesso per riguardarla, rileggere certi passaggi… Ho sempre detto che la figura dell’ispettore Morelli è nata come uno stato d’animo di quei momenti, più che come un personaggio. L’ho utilizzata per riversare nella sua figura ciò che in quel momento faceva parte di me (e in parte lo fa ancora, anche se sono riuscito col tempo a scendere a compromessi), e non escludo di poterlo riprendere in mano per nuove avventure. È stata una valvola di sfogo alla quale mi sento particolarmente legato.

Sei appena tornato dalla Fiera del Libro di Torino: come è stato rivivere questa esperienza dopo due anni di “pausa forzata”
Per me non è tanto un appuntamento dove fare acquisti, per quelli vado nella mia libreria di fiducia, quanto un’opportunità per vedere dal vivo almeno una volta all’anno quelle persone che ho il piacere di conoscere da anni e frequentare “virtualmente” tutti i giorni, un’occasione dove parlarsi guardandosi in faccia e poter stare lì a scambiarci abbracci e pacche sulle spalle e contarcela dal vivo. Sono un asociale per natura, ma questo è uno degli eventi che ho il piacere di frequentare per il semplice motivo che so che gente trovo e che vale ogni secondo che passi in loro compagnia

Cosa vuol dire per te essere scrittore oggi?
Vuol dire avere la possibilità di far arrivare ai lettori delle emozioni leggendo quello che scrivo. Che siano ricordi, nostalgie, malinconie, speranze…Qualsiasi sensazione riesci a far arrivare a chi ti sta leggendo è una soddisfazione, perché significa che sei arrivato a toccare delle corde che fanno vibrare qualcosa, che le tue parole non sono cadute nel vuoto ma hanno smosso qualcosa. Un libro che non ti lascia qualcosa di simile è un libro vuoto, scritto solo per riempire pagine e non per far vivere, o rivivere, qualcosa.

Quale è il tuo rapporto con i lettori?
Quello che mi fa piacere è che mi cercano molto, e io ovviamente non mi tiro indietro dal rispondere a qualsiasi messaggio mi arrivi. Se qualcuno occupa parte del suo tempo per leggermi e scrivermi, il minimo che io possa fare è ricambiare. Con molti di loro si sono instaurati rapporti che vanno al di là di una semplice e saltuaria corrispondenza, ma si sono creati rapporti di conoscenza e di amicizia. Io non sono una persona che si apre facilmente, ancora meno che ha piacere parlare di me stesso, ma in molti di questi rapporti che si sono formati c’è un bello scambio personale che li ha resi più profondi di una semplice conoscenza di facciata.

E’ stato difficile rimanere in contatto con i tuoi lettori in questi ultimi due anni particolarmente delicati?
Grazie ai social no, posso dire che ci siamo trovati ogni volta che si voleva. Poi io non è che sia tutto sto gran social come persona, ho sempre detto che sono un pessimo venditore di me stesso proprio per questa mia negazione ad essere particolarmente aperto e al non amare mettermi in mostra. Ma grazie a FB, che alla fine è l’unica piattaforma che uso, ho la possibilità di essere presente ogni volta che qualcuno ha piacere di scambiare due parole

Roberto Re scrittore e Roberto Re nella vita privata….
Roberto Re scrittore cerca di trasmettere nelle parole che scrive ciò che Roberto Re nella vita privata è abbastanza un disastro ad esternare… Ho una fama di anaffettivo che ha i suoi motivi di esistere e dal quale faccio fatica a staccarmi, per cui la scrittura è stata, ed è tuttora, una forma di terapia: mettere per scritto emozioni e sensazioni che non sono capace di tirare fuori a voce

Come consideri il mondo dell’editoria oggi?
Mi sembra un po’ tutto una grande giungla, dove vedo autori ed editori battagliare anche con toni e modi di fare poco piacevoli, e denigratori tra di loro, per strapparsi fette di pubblico. E siccome di tutto questo me ne frega ben poco, cerco di rimanerne distanziato tenendomi strette solo le persone fidate che ho imparato a conoscere col tempo. E dalle quali so di non dover temere coltellate alle spalle. Il Salone del Libro, invece, mi ha fatto rivedere realtà dove editori ed autori formano delle vere squadre, ed è questo che mi piacerebbe vedere nel mondo editoriale.

Tre aggettivi che riescono a descriverti…
Introverso. Selettivo. Disponibile.
Ognuno si collega al precedente…

• Progetti futuri?
Purtroppo ho un problema, e già il fatto di saperlo si può considerare un vantaggio: non sono costante. Posso scrivere tre libri in tre anni (la serie thriller), e poi stare fermo quattro anni prima di buttare giù “Gli anni mancanti”. La risposta è che non ho dei progetti futuri sicuri: so che mi piacerebbe riprendere Morelli, so che mi piacerebbe cimentarmi in un genere diverso dai precedenti perché ritengo che la scrittura sia anche una scommessa contro se stessi e un mettersi in gioco su più fattori…ma non so mai cosa scriverò fino al momento in cui una storia bussa nella mia testa in modo improvviso, un lampo tale da farmi dire “sì, aspettavo proprio te”. Ed è in quel momento che mi rendo conto che c’è davvero un progetto pronto per essere realizzato.

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