“Lupo solitario”, la nona avvincente puntata del racconto di Samuele Avantage Jr Goury

LUPO SOLITARIO

Il nostro fantastico gruppo procedeva alla grande, passo dopo passo, freccia dopo freccia. La freccia, che non è solo un indicazione stradale, è uno dei simboli del cammino, gialla, giace su ogni pietra miliare per suggerirti la strada da prendere, posta lì come un messaggio da chi, prima di te intraprese lo stesso percorso. Lasciammo alle spalle anche un masso che annunciò l’inizio della Galizia e del suo verde ancora più fitto, con l’alternarsi dei suoi boschi in cui sali e scendi i sentieri più incantati, sembrano usciti dalle fiabe e che sicuramente debbono averne ispirata qualcuna. Galizia ribelle indomita erge i suoi Fentos, gli Sabugeueiro e i suoi tipici Carballos che insieme alla miriade di specie di alberi diversi la compongono, la dipingono di un verde vivo e pieno di sfumature che completano il capolavoro.

Non so se capita anche a voi di essere pervasi da una malinconia positiva, è difficile da spiegare è come se nello stesso momento si provi gratitudine e tristezza, serenità e inquietudine. Mi crederete pazzo ma quel posto fatato aveva acceso in me un caleidoscopio di sensazioni agrodolci che giocava a confondermi. In quella nuvola di pensieri fitta come la foresta cui si ispirava, mi allontanai un po’ e presi le distanze dal gruppo. Ero stanco di essere assediato da uno sciame di preoccupazioni (penso che a questo punto sarete stanchi anche voi delle mie paturnie). Da una parte volevo godermi l’arrivo con i miei compagni di viaggio, dall’altra non riuscivo a lasciarmi alle spalle i conti in sospeso con il passato. Si era ripresentato all’attenzione quando osservai le disavventure di un ragazzo, un altro Andrea, un altro italiano, che aveva incontrato una ragazza nordeuropea lungo il percorso. Li vedemmo sbucare all’improvviso, tenersi per mano e camminare davanti a noi per chilometri e per tutto quel tempo non feci altro che fissare biasimando le mie colpe e angustiandomi per tutto ciò che di bello ebbi alla portata di una mano da stringere e che invece trascurai per aggrapparmi ad altre illusioni e false speranze. Quando quella mano smise di interrogare calore davanti allo specchio del suo riflesso opposto, lasciò un vuoto che solo il gelo della solitudine poté colmare, mi riempì tanto da non riuscire a respirare e tanto da capire su quel punto di morte che siamo fatti per amare. Questa massima fu utile per assaporare tutte le manifestazioni di questo Dio dell’infinito che ci ha regalato la vita e che nello stesso tempo la vita ci regala a ritmo di una boccata d’ossigeno, ma mi ero compromesso così tanto che continuavo ad affogare. Iniziai a pensare che l’unica possibilità di salvarmi era quella di tornare indietro, di convincermi e convincere le paure di altri errori. Fu a quel punto solitario che un Lupo mi parlò… no, non è un animale, si chiama proprio così: Lupo.

A volte mi chiedo se questa esperienza non sia tutta un sogno, frutto della mia immaginazione, ma i riscontri reali delle sue risultanti sono troppo vivi e perseguitano la mia quotidianità e allora lasciate che vi racconti di questo Lupo. Può benissimo essere  un personaggio mitologico sbucato fuori da qualche poema omerico: uomo già da un pezzo che aveva trapassato la trentina, alto, capello bianco a rimarcare l’eco di quell’ascendente lunare ma degli occhiali neri e una voce dolce e affettuosa a smorzare di netto il suo immaginario selvaggio. Il classico gigante buono che lesse la mia difficoltà e si avvicinò,fisicamente ed emotivamente, rivelando gli errori che si celavano dietro alla sua presenza lì, su quel percorso. Ci scoprimmo simili, molto simili, due facce di una stessa medaglia incastrata all’interno di uno sbalzo temporale di due universi paralleli. Controfigure di un loop temporale che si fuse e si risolse, in quel preciso istante, nell’anticamera dell’arrivo a destinazione e che mi diede la spinta non solo per lo sprint finale, ma soprattutto per come avrei impostato la mia vita una volta tornato a casa…

Conserverò gelosamente i dettagli della storia di un uomo con un vissuto davvero troppo importante, vi dirò onestamente che ancora una volta mi sentii piccolo come i miei problemi di fronte agli attimi struggenti della vita da lupo, scusate di Lupo. La sua capacità di aprirsi e la destrezza nel divincolarsi dall’imbarazzo fecero sì che il momento occupi ancora oggi un posto speciale nel baule dei ricordi e un gradino piuttosto alto sulla scala delle emozioni. Soprattutto perché con un aneddoto semplice spiegò come tornare indietro, a volte, faccia davvero male.

Potete immaginare quanto possano dolere le articolazioni arrivati a quel punto del percorso, e Lupo, proprio nel bel mezzo di quello sforzo fisico, mi afferrò la spalla, applicò una torsione sulla pressione mandandomi in una rotazione disordinata che costrinse le mie caviglie agonizzanti a ritrovare, a fatica, un equilibrio precario nel senso di marcia opposto, per poi chiedermi: «come ti sei sentito?». Io a quel punto, completamente disorientato, risposi: «Lupo mi hai fatto malissimo!». Con un sorriso paterno, e lo sguardo del bambino che rivela il trucco dietro la beffa svelò tutto l’arcano di quel movimento:

“Vedi Sam, nel corso della nostra vita è sottointesa un’unica direzione temporale, non sono ammessi viaggi all’indietro, si può solo proseguire in avanti servendosi di scelte e decisioni che avranno dei risvolti esclusivamente nel futuro, il passato è già fuori della nostra portata.”

Galeotto il libero arbitrio che ci offre la possibilità di ingannarci e di provare un miracolo della natura, ci è lecito tentare uno sforzo che richiede coscienza e consapevolezza all’interno di un binomio nel quale domini solo al 50%. Quel giorno, grazie a quella che pareva essere più una vecchia volpe che un Lupo, capì che tornare indietro nel tempo, semplicemente non si può ed è curioso come anche la fisica suggerisca la stessa cosa. Me lo suggerì addirittura la disavventura di Andrea, che si fece una decina di chilometri indietro per ritrovare la sua bella che però gli rifilò un bel servito. Non bastò quel progetto a triplice sforzo per ricoprire la distanza che separa l’essere 1 dal diventare o ridiventare 2, un inganno del Dio Amore, assoluto senza poli, che ti fa percepire un’energia nuova e senti che quell’energia possa aumentare in maniera esponenziale le tue chance. Effettivamente moltiplica le tue possibilità, ma di uno 0,5 di modo che la tua occasione diventa meno unita, recisa per mezzo di ½. Quando proviamo a nuotare contro la corrente degli eventi lo sforzo fisico è tale che grida dolore nell’appello di un sordo aiuto. Numeri e percentuali che ci lasciano impotenti e sospesi a metà.

Per fortuna ebbi Lupo, che con i suoi consigli mi evitò lo stesso errore di Andrea. Mi fece sentire come Simba quando Rafiki, per impartirgli una lezione di vita, gli dà una botta in testa col bastone per poi affermare subito dopo che l’accaduto era già competenza del passato, e rispondere al biasimo del leone di un dolore che persiste nel presente sussurrando un semplice valore assoluto di vitale importanza:

“Oh si! il passato può fare male, ma a mio modo di vedere dal passato puoi scappare oppure imparare qualcosa”

Torno bambino ancora una volta per prendere quella rincorsa che serve per diventare grandi.

Il lupo, che suole essere solitario, mi lasciò scombussolato e rimuginante alle cure del mio capitano Stefano che da buon referente della difesa arrivò in soccorso del reparto e trovò il modo per riassettare un morale che pareva spaesato. Ci apparsero due bambini e un pallone, espressione all’interno della quale completammo l’equazione e ci tuffammo dentro quel gioco magico capace con un incantesimo di far sparire la stanchezza accumulata di centinaia di chilometri, ma soprattutto capace di dare un calcio ai problemi e spedirli lontani lasciando spazio alle emozioni di una piccola sfera capace di connette il mondo. Un’amichevole alla vigilia dell’incontro finale che stravolse la mia esistenza.

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